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Il fiero ‘contadino’ che vende maglioni da 3.000 sterline ai “reali” di Hollywood

Comunicato Stampa – 22.09.2024. Brunello Cucinelli, tra i cui fan si annoverano Steve Jobs e Mark Zuckerberg, ha creato un impero dell’abbigliamento da 5 miliardi di sterline, dove i dipendenti fanno la siesta e sono pagati il 20 per cento in più della media.

Seppure abbiate mai sentito parlare di Brunello Cucinelli, è molto probabile che non possiate permettervelo. Lo stilista italiano dei super-ricchi ha costruito un impero dell’abbigliamento di lusso da 4,5 miliardi di euro che veste persone così in alto nella stratosfera sociale da essere felici di sborsare 3.000 sterline per un maglione.

Il fondatore dell’azienda omonima è amico di reali autentici – Carlo, per citarne uno – e anche di “reali” della Silicon Valley. Il dolcevita nero tipico di Steve Jobs? Cucinelli. La classica t-shirt grigia di Mark Zuckerberg? Una Cucinelli da 390 sterline.

Per quanto riguarda l’abbigliamento donna, pensate al cachemire pacatamente sobrio drappeggiato su Shiv Roy nella serie TV Succession, o all’eleganza sussurrata di un’altra amica di Cucinelli, Gwyneth Paltrow.
Con questo brand, non troverete mai qualcosa di così goffo come un logo: chi sa, sa. La settimana scorsa, a pranzo, un devoto che lavora da Goldman Sachs mi ha detto scherzando: “È ciò che indossi quando cammini sulla pista per andare dalla tua limousine al tuo jet privato”. Mentre i brand minori – Burberry, in particolare – devono fronteggiare una crisi dovuta al costo della vita e una domanda lenta dalla Cina, sulla Borsa di Milano Cucinelli continua a generare la crescita di utili più alta per i suoi azionisti; dalle cifre del recente semestre, risultano una crescita degli utili del 19 per cento, salendo così a 105 milioni di euro, e un aumento del fatturato del 14 per cento, giunto a 620,7 milioni di euro.

Il fatto è che i clienti che mollano felici 3.200 sterline per la giacca da uomo di cotone attualmente in vendita sul sito web dell’azienda, non percepiscono mai realmente la stretta economica, a prescindere da come se la passi il resto di noi.
Data la natura discreta della sua clientela ricca sfondata e dell’azienda in cui opera, ci si potrebbe aspettare che sia un tipo altezzoso. Ma, quando mi vede dal tranquillo atrio del suo quartier generale, nella campagna umbra, è tutt’altro. “Ah!”, urla in italiano, “Indossa una cravatta! Ha ha! Ovvio, tipicamente inglese!”.
Completamente vestito di bianco, con una camicia attillata col collo sbottonato e affusolati pantaloni di velluto di cachemire a coste che terminano appena sopra la caviglia, nel giro di qualche secondo è su di me, tasta il tessuto del mio abito, lodandone il colore blu scuro, afferrandomi le spalle con un gesto teatrale, e poi stringedomi la mano. Come quando ti salta addosso un cucciolo di cane italiano di un metro e ottanta.

L’interprete si sforza di tenere il passo mentre lui si entusiasma per tutte le cose inglesi, andando più veloce della Bentley GT che guida ogni giorno, scendendo giù dalla collina, per andare al lavoro. E che collina. Cucinelli vive in una grande villa in un villaggio medievale in cima alla collina, in Umbria, una regione famosa per la produzione di maglieria. Un gruppo di case di pietra color caramello intorno a un antico castello, questo è Solomeo, un luogo che lui ha reso indissolubile dal marchio Cucinelli. Le sue figlie, Camilla e Carolina, e i rispettivi mariti, Riccado e Alessio, lavorano tutti in azienda e vivono in bellissime case a pochi metri di distanza, insieme ai loro figli. Tutti spaventosamente belli. Solomeo, città natale di sua moglie (i due si sono innamorati da adolescenti), ha conosciuto tempi duri finché Cucinelli non ha iniziato a fare soldi seriamente. Quando, nel 2012, lanciò la sua azienda vendendo le azioni al pubblico, incassò 150 milioni di euro e ne spese una buona parte per rinnovare la zona. Non solo iniziò a ristrutturare Solomeo, ma acquistò anche i fatiscenti edifici industriali nella valle sottostante, così da restituire terra alla natura. “Dissi alle mie figlie: ‘Questa valle è bellissima. Dobbiamo ripulirla e trasformarla in frutteti e vigneti. Ma vorrà dire che saremo più poveri di 150 milioni di euro’, e loro risposero: ‘Sì. Perché no?’”.

I risultati sono splendidi…

Dalla torre del vecchio castello che usa come ufficio, alla sala che ha trasformato in una scuola dove si insegnano ai giovani la manifattura sartoriale e altri mestieri artigianali, Solomeo è impeccabile. La valle sembra uscire direttamente da un dipinto rinascimentale. “È vero, ovviamente”, dice, “il Perugino [l’artista del XV secolo che insegnò a disegnare a Raffaello], dipingeva qui”.

Con la mano che mi guida le reni, mi accompagna entusiasta in una fabbrica grande e ariosa al piano di sotto. Dico “fabbrica”, ma somiglia a malapena a una fabbrica. Benché vi siano decine di uomini e donne vestiti Cucinelli che ricamano, confezionano e pressano gli abiti, somiglia più a un ufficio open space di tendenza. La luce entra da enormi finestre a tutt’altezza poste su tutti i lati, ciascuno dei quali vanta una vista su questa campagna
deliziosa. 

Cucinelli, studioso appassionato di filosofia classica, in Italia è famoso per gestire le sue aziende come un antidoto allo sfruttamento minorile del fast fashion. I panorami, dice, sono un elemento fondamentale. 
“Quando ci siamo trasferiti, questo posto non aveva nessuna finestra”, racconta. “Come nella maggior parte delle fabbriche, si credeva che, se gli operai avessero potuto vedere fuori, avrebbero sprecato del tempo per guardare. Ma questo non è naturale. Se ho una finestra e guardo fuori 400 volte al giorno, spreco 500 secondi, ma vivo meglio. E di conseguenza divento più creativo.” 

Non si tratta solo delle finestre. Il personale di Cucinelli inizia alle 8 del mattino e si ferma all’una per una pausa pranzo di un’ora e mezza, consumando il pasto nell’eccellente mensa al prezzo simbolico di 3 euro. Dopodiché, siesta. “Alcuni vanno a casa a vedere i figli, alcuni schiacciano un pisolino, dipende da loro, ma ritengo che sia molto importante riposarsi”, dice. Se altre aziende potessero sacrificare l’uno per cento del loro margine per aumentare la paga dei loro lavoratori, “potrebbe essere la svolta”, afferma. Il margine operativo di Cucinelli si aggira sul 16-17 per cento, inferiore, in realtà, a quelli di molte aziende del lusso.

Oggi 71-enne, è cresciuto nella vicina campagna. “Sono un contadino”, dice fiero. La sua era una famiglia di coltivatori diretti, e ricorda giornate idilliache trascorse ad aiutare nei campi. Ma, alla fine, il padre di Cucinelli decise di trasferirsi in città e andare a lavorare in fabbrica. All’epoca Brunello aveva 15 anni e oggi ha concepito l’approccio ai suoi 3.000 dipendenti prendendo spunto dall’effetto che quelle condizioni infime ebbero su suo padre. 

“Lo sentivo lamentarsi del fatto che i suoi datori di lavoro lo umiliavano. Lo vedevo deluso, arrabbiato, con gli occhi pieni di lacrime.” Dopo aver vagato un po’ nei suoi primi vent’anni, facendo il modello per Ellesse, un marchio di abbigliamento per lo sport, e parrucchieri, che a volte lo mandavano a casa con i ricci tinti di verde brillante o rosso, all’improvviso ebbe un’idea. “Fu letteralmente dall’oggi al domani”, racconta. Benetton stava facendo una fortuna vendendo maglioncini di shetland colorati; Cucinelli immaginò di poter fare altrettanto, ma con il cachemire. Caricò il primo lotto di
merce in un furgone e si mise in viaggo, cominciò a vendere, e da allora non ha mai più guardato indietro. Dunque, com’è che Burberry e altri marchi di moda stanno attraversando un periodo difficile, mentre lui va a gonfie vele?
“Direi che, 12 o 14 anni fa, Burberry aveva il prodotto più eccelso, della migliore qualità, fabbricato in Inghilterra o qui in Umbria. Avevano un modo di lavorare straordinario e un’immagine fantastica. Poi decisero di cambiare, e fu una loro scelta.” Un portavoce di Burberry risponde che, al contrario, negli ultimi anni il brand si è impegnato per riportare la produzione nel Regno Unito e in Europa.

Nutre scarsa simpatia per le grandi case di moda che annunciano tempi difficili. “Dal 2019 al 2023, quei nomi tanto famosi hanno raddoppiato il fatturato e incrementato i profitti del 35 per cento. Non sembrano essere esattamente in difficoltà, non è vero?”. “Per quanto ci riguarda, negli ultimi 20 anni, sostanzialmente, siamo cresciuti in media dell’11 per cento. È una crescita normale, non violenta. Se cresci in modo violento, fallisci in modo violento.” Quando lanciò l’azienda vendendo le azioni al pubblico, i suoi consulenti gli dissero che se non avesse promesso di espandere il business dal 20 al 30 per cento annuo, nessuno avrebbe comprato le azioni. “Risposi che non ci pensavo neanche. Volevamo un tasso di crescita sul 10 per cento e tant’è.” Da allora, nonostante un forte calo subito insieme con il resto del settore dalla primavera, le
 azioni sono su del 617 per cento; anche dopo un calo registrato da inizio anno, lui e la sua famiglia possiedono circa la metà delle azioni e il valore di mercato dell’azienda è di 5,66 miliardi di euro.

L’amico Sir Paul Smith mette a fuoco il successo di Cucinelli. “È l’esempio perfetto di abiti
italiani di qualità eccezionale. È uno stile completo ed è straordinario”, dice.
Paul Smith, come tanti altri marchi di lusso del Regno Unito, ha subito una battuta di arresto
in Gran Bretagna da quando è stata decretata la fine dello shopping duty free. I negozi
londinesi di Cucinelli hanno sofferto? Fa spallucce: “Per noi, il Regno Unito sta andando
bene. La questione del duty free ci colpisce un pochino, ma per i nostri clienti target il fatto
di non godere del rimborso delle tasse non è propriamente un problema”.
Usciamo fuori alla luce del sole, dove una fontana zampilla vicino a una statua del dio
Ermes. È un accenno al rivale del lusso parigino dal nome simile? Per niente, risponde il
milardario, “È il dio degli scambi e del commercio”. Mentre le passiamo davanti, sono sicuro
che la statua gli sorride.

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